domenica 31 ottobre 2010

il destino è appeso ad una gru


Da più di ventiquattr’ore, a pochi passi da casa mia, alcuni uomini camminano sospesi su di una gru, rischiando la vita a causa del vento forte e del freddo, sempre più pungente. Si sono arrampicati ieri pomeriggio, e non sembrano intenzionati a scendere.
Il primo commento che viene da fare, nel vedere quelle piccole sagome muoversi a trenta metri d’altezza, è: “sono dei pazzi”.
Eppure, se si rimandano per un attimo i giudizi, si può arrivare a chiedersi perché delle persone arrivino a fare un gesto tanto insensato.

Chi sono quegli uomini in cima alla gru?
Da lontano non hanno volto, non hanno nome, e, forse, proprio qui sta il problema: per il nostro stato quelle persone un nome ed un volto non ce l’hanno. Sono soltanto “irregolari”. Ci si dimentica, troppo spesso, che dietro a questo termine si nascondono vite, storie di uomini e di donne che hanno come unica colpa quella di essere fuggiti dall’orrore delle loro terre.

Criminali? Alcuni, forse. Ma per ogni clandestino che delinque, altre centinaia nel nostro Paese vengono sfruttati e vivono come fantasmi, privi di identità e di diritti, costretti a vivere come animali braccati.

I permessi di soggiorno richiesti e rilasciati dopo mesi, anni. Anni durante i quali il solo fatto di uscire di casa potrebbe significare essere rispediti al proprio Paese, senza possibilità di ritorno. Anni di burocrazia e di attesa, che potrebbero concludersi con un “niente di fatto”, con un “siamo spiacenti”, esattamente come un provino per un reality show.. peccato che in gioco, in questo caso, ci siano vite umane.

Quegli uomini arrampicati ci ricordano che questo è un momento cruciale, da cui potrebbe dipendere il futuro dell’Italia intera. Sono i fantasmi che per troppo tempo abbiamo cercato di scacciare dalla nostra vista, fingendo che non esistessero.
Sta a noi, adesso, prendere in mano questa situazione prima che sia troppo tardi e, con scelte coraggiose e lungimiranti, cercare di invertire la rotta.

L’immigrazione nel nostro Paese è stata trattata fino ad ora come un problema temporaneo, una realtà che, con un’adeguata politica dei respingimenti e del “pugno di ferro”, si potrà risolvere definitivamente.
Questa visione, oltre che irrealistica, è deleteria per il futuro del nostro Paese, che è invece fortemente legato alla presenza di stranieri sul suo territorio.
E’ arrivato il momento di parlare dell’immigrazione per quello che è: un cambiamento radicale e definitivo nel tessuto sociale ed economico italiano, un fenomeno che, se ben gestito, porterà grande progresso economico ed umano, ma che se continuerà ad essere vissuto come un’emergenza potrebbe rivelarsi molto pericoloso per la stabilità politica e sociale del nostro Paese.

La nostra è una delle città italiane più interessate da questo fenomeno, ma nel suo tessuto sociale gli immigrati sono ancora considerati ospiti, molto spesso sgraditi, anziché cittadini come tutti gli altri.
I bresciani del futuro avranno molti colori e conosceranno diverse lingue, ma sta a noi, adesso, decidere come intraprendere il percorso dell’integrazione. E’ un momento importantissimo per il futuro non solo della nostra città, ma dell’Italia intera, perché dalle scelte politiche e sociali che faremo dipenderà l’avvento di uno Stato più moderno e democratico, oppure l’innesco di pericolose dinamiche sociali difficilmente gestibili.

Per questo limitarsi a considerare l’immigrazione un “problema da risolvere” o, peggio, alimentare le paure dei cittadini per guadagnare consensi, è una scelta politica miope ed assolutamente pericolosa per il nostro futuro.
Non è questione di scegliere tra immigrazione o non immigrazione. Gli immigrati ci sono e ci saranno, mi dispiace distruggere le utopie "padane", e noi dobbiamo solo decidere se agire in modo lungimirante semplificando la burocrazia, facilitando l’inserimento degli stranieri nel tessuto sociale ed economico, oppure innalzare i nostri muri creando conflitti incontrollabili.

L’Italia è giunta ad un bivio, e sta a noi condurla sulla strada del progresso anziché su quella che porta ad un precipizio senza fondo.

Guardando quelle piccole sagome che si muovono, lassù, è a questo che dobbiamo pensare.

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